Posts written by LightLilith

  1. .
    Off!
  2. .
    Dimensione
  3. .
    Nu...
  4. .
    Vinto. :P
  5. .
    Nu. :P
  6. .
    Vinto. :P
  7. .
    4
  8. .
    7. :P
  9. .
    742
  10. .
    Un po' come se fosse fluorescente, no? O.o
  11. .
    Nu.

    L'USDM mi da la patata di Lix. u.u
  12. .
    Qual'è la domanda?
  13. .
    Ti banno perchè ho appena fatto la cacca. u.u
  14. .

    650647-bigthumbnail

    La tutrice
     

    Premessa: questo racconto contiene scene molto violente, chi non gradisse è pregato di passare oltre, chi ne fosse incuriosito è invitato a leggere tutto prima di esprimere giudizi.






    CAPITOLO I – MADAME FOISSON

    Marie Foisson sollevò per qualche istante lo sguardo dalle carte che ormai
    conosceva a memoria per gettare un’occhiata alla vecchia pendola, l’oggetto più
    prezioso dell’elegante arredamento vittoriano del suo ufficio. Erano le quattro e mezza del pomeriggio. Tra meno di mezz’ora Jennifer Larson sarebbe entrata in quella stanza e lei avrebbe dato via a un piano sul quale aveva fantasticato per anni. Era troppo tardi per dei ripensamenti.

    A soli 37 anni Marie era la figura più influente nella prestigiosa scuola femminile di Harper’s Hill. Il doppio ruolo di insegnante di francese e di vicedirettrice era già notevole per una donna della sua età però il suo vero potere derivava dal fatto di essere figlia e unica erede dei due fondatori dell’istituto. Sua madre si era trasferita dalla nativa Francia negli Stati Uniti molti anni prima in qualità di insegnante madrelingua. Aveva poi sposato un franco-canadese e la coppia aveva insieme fondato la scuola. I primi anni erano stati difficili. Le idee non proprio progressiste dei due coniugi mal si conciliavano con il clima politico degli anni sessanta. Fu necessario attendere gli anni ’80 e la riscossa del neo-puritanesimo perché la scuola iniziasse realmente a prosperare. Sembrava che l’intera aristocrazia dello Stato non desiderasse altro che di poter spedire le proprie figlie in un collegio che desse loro una bella ‘raddrizzata’.
    Marie Foisson non era però una semplice raccomandata di ferro. Era completamente dedita al suo lavoro e era stata la sua abile regia che aveva dato alla scuola la filosofia grazie alla quale era ormai tra le più rinomate di tutti gli States. La Harper’s Hill si era sempre distinta per una disciplina particolarmente severa e un po’ ottusa, frutto delle inclinazioni dei suoi fondatori più che di un’idea didattica o commerciale.
    Marie aveva cambiato tutto questo. La disciplina era divenuta ancor più maniacale ma a ciò corrispondeva a una precisa strategia. La scuola si era specializzata nella educazione delle più scapestrate tra le ricche e viziate figlie dell’alta borghesia del paese. Il punto di forza dell’istituto era che le ragazze turbolente anzichéessere espulse, come nelle altre scuole, venivano invece ‘rieducate’ fino a farne delle perfette debuttanti. Le iscrizioni e le rette conobbero un’impennata impressionante, trasformando la Harper’s Hill in una vera miniera d’oro. Alla luce dei suoi successi Marie avrebbe potuto pretendere di assumere la direzione dell’istituto ora che i suo padre era morto e sua madre si era trasferita in Francia. Se non lo aveva fatto non era però per modestia ma perché il suo ruolo di vicedirettrice che la rendeva responsabile per le questioni disciplinari era per lei fonte di insospettate soddisfazioni. Non voleva certo rinunciarvi proprio ora che per una sentenza della Corte Suprema aveva ufficialmente permesso la reintroduzione delle punizioni corporali che peraltro non erano mai andate in disuso nella scuola.

    Sino da bambina Marie era stata molto disciplinata e giudiziosa. Non aveva mai dovuto assaggiare i trattamenti che sua madre dispensava così largamente alle sue allieve. Fu solo molti anni dopo, quando dopo essersi laureata, accettò a malincuore di fare alcune supplenze nella scuola dei suoi genitori, che scoprì la sua particolare vocazione. La prima volta che le capitò di assistere ad una sessione disciplinare, solo cinque nerbate sul posteriore ben tornito di una sedicenne, non ne
    fu folgorata ma la cosa comunque suscitò il suo interesse. Quando qualche tempo dopo sua madre le chiese di sostituirla in una di queste sessioni a causa un attacco di artrite, ne fu lieta. La madre la istruì adeguatamente e le fece fare pratica su un cuscino. Il gran giorno venne. La ragazza aveva 15 anni, una espressione impertinente e lunghi capelli biondi. Venne fatta entrare nella stanza in cui si trovavano solo Marie e sua madre. Le fu spiegato che sarebbe stata Marie ad amministrare la punizione e fu fatta mettere in posizione. La ragazza si chinò sulla pesante scrivania in legno di quercia e sollevò la gonna sulla schiena lasciando esposte le terga, ricoperte da vezzose mutandine rosa. Furono necessari tre colpi di verga prima che Marie, vincendo il proprio timore da neofita, riuscisse a imprimere allo strumento una forza adeguata. Il quarto colpo fu perfetto e Marie poté così concentrarsi sull’effetto dei suoi colpi. Dopo aver sopportato in silenzio l’inizio della propria punizione la ragazza iniziò a perdere la sua baldanza ed ad emettere sordi gemiti ogni volta che il crudele attrezzo la sfiorava. Marie osservava estasiata i fianchi della sua vittima che oscillavano sotto i suoi colpi, gli sforzi della ragazza per mantenere la corretta posizione, le mani che stringevano con forza il lato distante della scrivania. I lamenti soffocati a stento le parevano dolci come i sospiri degli amanti durante l’amplesso. Solo all’ultimo momento la donna si rese conto del suo stato di eccitazione e che in preda allo stesso aveva eccessivamente aumentato il ritmo e la potenza della battuta. Ci volle un grande sforzo di volontà per riuscire a riacquistare il controllo di sé e a non assestare colpi extra alla malcapitata allieva. Marie getto uno sguardo di sfuggita alla madre e con sollievo la vide intenta a massaggiarsi il polso dolorante. Non si era accorta di nulla.

    Marie non diede troppo peso al fatto di essersi sessualmente eccitata durante la sessione disciplinare. Era successo e basta. Non avrebbe certo cambiato la sua vita! Si sbagliava. Il momento della verità venne qualche tempo dopo, quasi al termine del suo periodo di supplenza. La madre le chiese ancora una volta di sostituirla nell’amministrare una punizione ma questa volta non si fermò ad assistere alla somministrazione. La ragazza da punire aveva 16 anni, copiosi riccioli rossi, seni molto sviluppati e qualche chilo di troppo. Non era comunque sgradevole. Non appena le due si trovarono sole nella stanza, chiusa a chiave come da prassi, Marie sentì un forte brivido di eccitazione al solo pensiero di avere l’altra alla propria mercé. Marie lesse alla studentessa i motivi della punizione e impugnò lo strumento designato.
    “Sembra proprio che tu non sappia tenere la lingua a freno. Vedremo se 30 colpi con questa canna ti insegneranno un po’ di disciplina!” aggiunse con un ghigno crudele.
    La ragazza deglutì. La punizione era piuttosto severa per una infrazione di poco conto come la sua ma sapeva che essere recidiva comportava un aumento della pena. Senza dire una parola si mise in posizione e si sollevò la gonna dell’uniforme.
    Marie si spostò a sinistra della sua vittima e iniziò a colpire. I colpi erano netti e decisi. Ormai non era più presente alcuna cautela reverenziale. Quasi subito la ragazza prese a gemere e a contorcersi dopo ogni sferzata. Anche se la punizione non era eccezionalmente dura, per gli standard della Harper’s Hill, la sua capacità di sopportare il dolore non era mai stata molta. Dopo il decimo colpo non poté fare a meno di sollevarsi e di portare una mano verso il suo tormentato fondoschiena.
    “La prego non ce la faccio più!” piagnucolò.
    “Silenzio!” replicò Marie. “Sai benissimo di non potere né muoverti né parlare durante la punizione. Per ogni infrazione sono previsti 5 colpi aggiuntivi. Quindi ancora 30 colpi!”
    Resasi conto del guaio in cui si era cacciata la ragazza divenne quasi isterica.
    “La prego” disse “so che devo essere punita. Non voglio sconti, solo … solo vorrei che mi concedesse qualche minuto di tregua tra una serie di colpi e un’altra.”
    “Ah sì? E quanto di grazia?” replicò ironica la donna.
    “Credo … credo che … 5 minuti ogni 5 colpi … riuscirei a sopportarli … i colpi voglio dire …” sussurrò con un filo di voce la ragazza impaurita.
    “Non posso mica perdere tutto il pomeriggio con te!” rispose seccamente Marie. Stava per riprendere la battuta quando improvvisamente ebbe un’ispirazione. Si voltò ostentatamente verso la grande finestra fingendo di meditare sul da farsi ma in realtà per nascondere l’espressione luciferina che sentiva essersi dipinta sul suo volto. Attese qualche istante, poi con tono calmo prese a parlare.
    “So che in fondo sei una brava ragazza quindi ti farò una concessione. Potrai scegliere tra due alternative. La prima è di avere 30 colpi, come quelli che di ho già dato, con 3 minuti di intervallo ogni 10 colpi. La seconda è di ricevere 15 colpi. 10 con questa sottile striscia di cuoio e dopo 5 minuti di intervallo, 5 colpi con questa canna che è più leggera di quella che ho usato fino ad ora.”
    Mentre faceva la sua offerta, Marie indicò gli attrezzi designati, appesi insieme a molti altri in una rastrelliera in fondo alla stanza. La ragazza aveva una espressione stupita. La seconda offerta sembrava fin troppo favorevole. La metà dei colpi, un intervallo più lungo e strumenti più leggeri, sicuramente meno dolorosi.
    “Naturalmente” aggiunse la donna con voluta nonchalance “nel secondo caso non ti sarà concessa la protezione delle mutandine. Hai 5 minuti per decidere.”
    Il viso della ragazza divenne rosso dall’imbarazzo. Sapeva che punizioni del genere venivano occasionalmente comminate ma lei non ne aveva mai subito una. Che fare? Sapeva che non avrebbe potuto sopportare i 30 colpi in modo disciplinato e che pertanto la punizione sarebbe stata di nuovo aumentata. I 15 colpi sulla pelle nuda sarebbero stati sicuramente più imbarazzanti ma probabilmente non più dolorosi. Almeno così sperava.
    “Scelgo i 15 colpi, signorina” disse quasi balbettando. “Cosa … cosa debbo fare?”
    “Mettiti davanti alla scrivania, abbassati le mutandine e assumi la solita posizione” rispose Marie. La ragazza, con le mani tremanti, abbassò le mutandine quanto bastava per lasciare interamente scoperti i candidi glutei e iniziò a chinarsi in avanti. Marie, in piedi dietro di lei, la fermò immediatamente.
    “Così non va bene! Le mutandine devono essere abbassate fino alle ginocchia” disse. “E vedi di non farle cadere sul pavimento durante la punizione altrimenti sarà peggio per te!”
    Lentamente la giovane abbassò le mutandine fino alle ginocchia e si sdraiò sulla scrivania. Per evitare che le scivolassero più giù dovette divaricare leggermente le gambe regalando a Marie la fugace visione del suo sesso e della sua fitta peluria rossastra. La donna era intenzionata a sfruttare al massimo la situazione. Sferrò cinque colpi violenti in rapida successione per mettere la sua vittima nel giusto stato d’animo. Prese poi qualche secondo di pausa per permettere alla ragazza di assaporare il crescente dolore e tornò a colpire. Questa volta i colpi erano ben distanziati l’uno dall’altro e Marie poteva gustarne pienamente l’effetto. Ogni volta che la lingua di cuoio colpiva si avvolgeva sinuosamente alle bianche rotondità dei glutei e dei fianchi della malcapitata che riusciva a stento a conservare la posizione richiesta. Al termine dei primi 10 colpi le natiche della studentessa erano solcate da numerose linee color rosso fuoco che risaltavano fiere sulla carnagione pallida delle altre aree. La ragazza piangeva e singhiozzava. Marie, ansimante di piacere, osservava la scena compiaciuta. Ordinò alla ragazza di attendere in un angolo, faccia al muro, che trascorressero i 5 minuti di intervallo, sempre con le mutandine abbassate e la gonna sollevata. Lei nel frattempo, sorpresa dal suo stesso grado di eccitazione, si era seduta dietro la scrivania, si era cautamente sfilata le mutandine e aveva iniziato ad accarezzarsi fra le cosce.
    Maledizione … non c’era abbastanza tempo per questo! Bisognava riprendere la punizione. Rimessa in posizione la sua vittima, Marie riprese a colpire con tutta la sua forza per fare in modo che la leggera canna utilizzata potesse comunque farsi temibile. Bastarono un paio di sferzate a riempire nuovamente di lacrime in viso della ragazza. Marie, ogni volta che contraeva le cosce per accompagnare il colpo, sentiva un’onda di piacere divamparle dentro. Decise di indirizzare il quarto colpo non sui glutei ma sulla parte posteriore delle cosce. Il colpo colse completamente di sorpresa la vittima che lanciò un alto guaito. Le ginocchia le si piegarono e se non si fosse aggrappata con tutte le sue forze alla scrivania sarebbe sicuramente caduta carponi. Senza attendere che la poveretta riprendesse posizione Marie le assestò il quinto colpo che le strappò un altro urlo. Resasi conto dopo qualche istante che la punizione era finita la giovane si lasciò andare accasciandosi sul pavimento, ai piedi di Marie, piangendo a dirotto e coprendosi il viso con le mani.
    “Rivestiti e vattene se non vuoi una razione supplementare” disse Marie con voce tremante.

    La ragazza faticosamente si rialzò, ricompose i suoi vestiti e uscì con andatura traballante. Era troppo presa dai suoi guai per accorgersi della espressione assente della sua persecutrice e che questa, per reggersi in piedi, aveva dovuto appoggiarsi con entrambe le mani alla scrivania. L’orgasmo aveva colto Marie di sorpresa. Il fatto di essere eccitata dal corpo di un’altra femmina non era una novità per lei. Gli uomini non le erano mai piaciuti e durante il college aveva avuto modo di sperimentare l’amore fra donne. Aveva però sempre avuto difficoltà a giungere all’apice del piacere ed aveva finito per pensare che il sesso non faceva per lei.
    Tutto ciò che si concedeva consisteva in qualche carezza durante la doccia dopo un’oretta di jogging. Ora invece il piacere l’aveva vinta mentre non si stava neppure sfiorando!

    Da quel giorno la vita di Marie cambiò. Rinunciò al suo sogno di fare l’interprete e di girare il mondo e accettò invece un posto stabile alla Harper’s Hill. Divenne ben presto la più temuta tra le insegnanti. Per rafforzare il terrore delle alunne nei suoi confronti iniziò a coprire il suo splendido corpo d’atleta con lugubri abiti neri che le fruttarono il soprannome di ‘Morticia’, ben presto
    sostituito da altri più adeguati come ‘La frusta’ o ‘La puttana nera’. Prese anche a raccogliere dietro la nuca i lunghi e bellissimi capelli corvini e a portare frivoli occhialini anni ’50. Il tutto contribuiva a darle l’aspetto di una vecchia megera, acida e cattiva. Esattamente il ruolo che voleva recitare. La signorina Marie ormai non esisteva più. Al suo posto c’era adesso la terribile Madame Foisson.



    CAPITOLO II – JENNIFER

    Knock! Knock! Il bussare ridestò Marie dai suoi pensieri.
    “Avanti!”
    “Buongiorno, Madame.”
    “Buongiorno, Jennifer.”
    Marie studiò la giovane mentre questa richiudeva la porta dietro di sé e si avvicinava alla scrivania. Jennifer Larson era quanto di più lontano vi fosse dalla tipica studentessa della Harper’s Hill High School. Non che il suo aspetto fosse diverso da quello delle altre. Era la sua storia a renderla un caso unico. Lei non era la spocchiosa erede di una qualche importante dinastia famigliare ma bensì la figlia di una ragazza-madre morta di overdose due anni prima. Da allora Jennifer era stata affidata alle poco entusiaste cure del patrigno. Era cresciuta senza nessuno che si occupasse realmente di lei ed era un piccolo miracolo che nonostante le cattive compagnie non fosse caduta nella stessa schiavitù della madre. Né questa né il patrigno avrebbero avuto i soldi o la volontà di mandarla a una scuola come la Harper’s Hill. Né d’altro canto una ragazza con la sua storia sarebbe stata ammessa.
    Il motivo per cui Jennifer si trovava lì era che una sua zia, l’unica parente rimastale, morendo le aveva lasciato un fondo per l’iscrizione all’istituto e una lettera di presentazione per la fondatrice della scuola della quale era una vecchia amica. Con riluttanza, Marie aveva dovuto cedere alle pressioni della madre ed ammettere la giovane nella scuola.
    Purtroppo la carriera scolastica di Jennifer era stata un vero disastro.
    Incapace di autodisciplina, non in grado di stringere amicizie con le altre studentesse, troppo diverse da lei, aveva finito per diventare una ospite fissa dello studio di Madame Foisson con il solo risultato apparente di sviluppare una spiccata resistenza al dolore. La vice direttrice se da un lato era lieta di poter somministrare a Jennifer le sue durissime punizioni dall’altro era indispettita dal fatto che queste non producessero alcun positivo effetto sul suo rendimento. Aveva così finito per fare del recupero di Jennifer un caso personale. Si era dedicata ore a studiare il suo comportamento, i suoi voti, la sua storia personale e familiare.
    Aveva analizzato attentamente i test psicologici e di intelligenza a cui era stata sottoposta. Alla fine poteva dire di conoscere Jennifer Larson meglio di qualsiasi altra persona al mondo ed era giunta a una conclusione. Jennifer era una ragazza estremamente intelligente ma terribilmente bisognosa di qualcuno che si occupasse di lei. Le esperienze passate avevano profondamente intaccato la sua autostima. Se Jennifer non si impegnava a fondo degli studi non era perché non si rendesse conto della loro importanza. Era perfettamente cosciente che solo con una borsa di studio che andasse ad aggiungersi alla sua piccola eredità avrebbe potuto frequentare un college e sfuggire alla vita miserevole che la attendeva fuori dalla scuola.
    Semplicemente Jennifer non credeva nelle sue possibilità e finiva per arrendersi senza nemmeno provarci. Qualche occasionale punizione non poteva costringerla ad impegnarsi per più di qualche giorno. Aveva preso troppi calci dalla vita per avere realmente paura di un castigo che per quanto severo veniva solo una volta ogni tanto.
    Aveva bisogno di attenzioni più costanti. Marie aveva perciò escogitato un piano che avrebbe dovuto soddisfare le esigenze della ragazza e allo stesso tempo le proprie inclinazioni. Per funzionare aveva però bisogno della collaborazione della stessa Jennifer. Ed era venuto il momento di chiederla.
    “Accomodati pure” disse Marie indicando la sedia davanti alla sua scrivania.
    Jennifer si mise dietro lo schienale della sedia. Sollevò la gonna e si chinò in avanti afferrando saldamente i braccioli. “Intendevo dire di metterti a sedere. Non sei qui per essere punita” precisò Marie sorridendo divertita. Jennifer si sedette perplessa. Era uscita dalla scuola senza permesso ed era rientrata ben oltre il coprifuoco. Si aspettava una punizione molto dura.
    “Jennifer” iniziò la donna con fare inconsuetamente familiare, alzandosi in piedi e poi sedendosi sul bordo della scrivania a poca distanza dalla giovane. “Tu sai che la nostra scuola si è sempre fatta un vanto di non espellere le ragazze difficili ma di rimetterle sulla giusta via, vero?”
    “Sì, ma …” interloquì Jennifer che iniziava a temere di essere cacciata.
    “Lasciami finire d’accordo?” disse Madame Foisson con tono molto dolce. “Non puoi negare che a te sono state inflitte più punizioni che a qualunque altra studentessa e che queste non hanno avuto alcun effetto sul tuo comportamento e sul tuo rendimento negli studi.”
    Jennifer deglutì e fece un timido cenno di assenso.
    “Siamo arrivati al punto che il consiglio scolastico ha dovuto riconoscere che la scuola con te ha fallito. E per evitare che il tuo esempio possa contagiare le altre studentesse ha votato la tua espulsione.”
    Per Jennifer queste parole erano come una condanna a morte. Peggio, a una vita disperata e infelice come quella di sua madre. La Harper’s Hill era stata la sua unica possibilità di combinare qualcosa di buono e lei l’aveva sciupata. Abbassò la testa. Sentiva gli occhi che si riempivano di lacrime. Iniziò a piangere in silenzio. Ciò che non era riuscito alle centinaia di vergate subite era successo ad opera di poche parole pronunciate con voce compassionevole.
    “Mi spiace … ho rovinato tutto!” singhiozzò la ragazza. All’improvviso sentì una mano gentile poggiarsi sulla sua spalla. Sollevò lo sguardo e vide la donna più temuta della scuola che le sorrideva amorevolmente. Ne fu talmente sorpresa che rimase letteralmente a bocca aperta.
    “Ascolta Jennifer” iniziò Marie “conosco bene la tua situazione familiare. So che se ti cacciamo non avrai un posto dove andare. Il tuo patrigno sta lavorando su una piattaforma petrolifera e non può certo occuparsi di te, ammesso che mai lo abbia fatto!” Fece una breve pausa. “Credo anche che tu abbia buone possibilità di fare bene, a scuola come nella vita, ma che ti serva una guida costante che ti faccia da stimolo.”
    Jennifer guardò la donna con aria interrogativa. Non riusciva a capire quale fosse lo scopo di quelle parole.
    “Purtroppo però non c’è nessuno che si occupi di te, mia cara” continuò Marie. “A me però è venuta un’idea. Ne ho già parlato con il consiglio scolastico e con il tuo patrigno. Ne ho discusso anche con un amica dei servizi sociali. Sono tutti d’accordo. In sostanza si tratta di questo. Io assumerei la tua tutela legale e mi occuperei di te non solo in qualità di insegnante ma anche come … be’ … diciamo come se tu fossi un membro della mia famiglia. Naturalmente, visto che non sono una tua parente, sarai tu ad avere l’ultima parola sulla faccenda.”
    “Io … scusi Madame ma non credo di capire …” disse Jennifer.
    “Cosa, mia cara?”
    “Cosa succederà se accetto? Potrò rimanere a scuola? E poi … ecco … non capisco perché fa tutto questo per me …”
    “Lo faccio perché credo che con il mio aiuto tu possa cambiare la tua vita.
    Venire qui è stata una grande opportunità per te. Sarebbe un peccato se tu la sprecassi. Sono sicura che anche tu la pensi così, non è vero?”
    “Sì, Madame.”
    “Quanto al resto è presto detto. Il provvedimento di espulsione sarà sospeso a condizione che tu sia promossa al termine dell’anno. Nel frattempo ovviamente potrai continuare a frequentare la scuola. Io sosterrò le spese per la tua retta e il per il tuo mantenimento. Mi impegno inoltre a sostenere le spese per farti frequentare un buon college sempre che tu riesca a diplomarti con una media che ti faccia accettare.”
    Jennifer era sbigottita.
    “Attenta però!” aggiunse la donna. “Non pensare di ricevere alcun trattamento di favore da parte degli altri insegnanti. Anzi chiederò loro personalmente che siano con te più esigenti che con le altre ragazze. Inoltre ci dovranno essere dei cambiamenti. Non sarai più alloggiata in dormitorio con le altre ma verrai a vivere nella mia casa insieme a me. A scuola verrai solo per frequentare le lezioni. Anche lo studio verrà svolto a casa dove ti potrò tenere sempre sott’occhio.”
    “Devi poi capire la cosa più importante” disse infine “I nostri rapporti cambieranno. Come insegnante ci sono precisi limiti che devo rispettare nel rapporto con le mie allieve. Come tutore legale però io, di fatto, sarei equiparata a un genitore. Avrò molto più potere su di te. Così ad esempio, la qualità e la quantità delle punizioni a cui saresti soggetta sarebbe molto maggiore e se vogliamo più arbitraria. C’è bisogno che tu abbia piena fiducia in me perché un simile rapporto possa dare i sui frutti. Mi rendo conto che una decisione del genere non è facile da prendere perciò hai tutto il resto della settimana per farlo. Domenica preparerai le valigie e lunedì mattina prima dell’inizio delle lezioni verrai nel mio ufficio e mi dirai cosa hai deciso di fare. Se accetti la mia proposta il pomeriggio stesso potrai trasferirti da me altrimenti ti farò accompagnare alla stazione dove potrai prendere il treno per tornare ad Atlanta.”
    Marie accompagnò la ragazza alla porta e le due si congedarono senza dire altro. Rimasta sola la donna rifletté sulle sue parole. Aveva esagerato ad accennare a Jennifer del duro regime che l’avrebbe attesa a casa Foisson? No! A lei non bastava avere su Jennifer il potere derivante dalla legge o dalla forza bruta. Voleva che Jennifer stessa lo desiderasse, che si offrisse spontaneamente in olocausto a lei.
    Solamente così avrebbe avuto pieno dominio. Solo così avrebbe potuto appagarsi su di lei e al tempo stesso aiutarla realmente a migliorarsi. Ora tutto era nelle mani della ragazza.

    Jennifer passò tutte le notti di quella settimana pensando alla decisione che doveva prendere. Abbandonare la scuola avrebbe significato finire sulla strada.
    Nonostante ciò l’alternativa di finire sotto le grinfie della Foisson era a dir poco inquietante. E sarebbe poi servito a qualcosa?

    Lunedì mattina Jennifer si presentò puntualmente nell’ufficio della vicedirettrice. Marie non perse tempo e le chiese subito quale era la sua decisione.
    “Vede Madame … apprezzo la sua offerta … ma io non credo …” iniziò Jennifer.
    “Non vuoi accettare, capisco” disse seccamente la Foisson. Era arrabbiata e delusa.
    “Il fatto è che … anche se accettassi … non riuscirei a farcela. Mi conosco … non riuscirei mai a recuperare … a essere promossa … mi creda la deluderei.
    Io … io sono un’incapace!” concluse singhiozzando.
    C’era ancora qualche possibilità. Marie era decisa a non lasciarsela sfuggire.
    “Sei una sciocca!” disse. “Non hai ascoltato quello che ti ho detto giorni fa? So benissimo che non puoi cavartela da sola! Non ti ho chiesto di assumerti l’impegno di diventare una buona studentessa! Sarò io a renderti tale. Non avrai alcuna possibilità di scelta a questo riguardo. La mia volontà basterà anche per te.”
    La donna cercò di assumere un tono più calmo e continuò.
    “Quella che voglio è un’altra cosa. Voglio che tu accetti la mia assoluta autorità su di te. Ciò che devi accettare non è di seguire le mie regole ma è il mio diritto a stabilirle. Penserò io a fartele rispettare!”
    Jennifer era confusa. Non aveva pienamente compreso ciò che l’altra le aveva detto. Ne era però rimasta colpita. Lo sfogo della donna sembrava dettato da …affetto per lei?! Nessuno mai se la era mai presa con la ragazza per qualcosa che riguardava solo il suo bene. Il suo patrigno non voleva che si cacciasse nei guai solo perché era lui poi che doveva tirarcela fuori. I ragazzi che aveva conosciuto volevano solo portarsela a letto. Gli insegnanti la sgridavano e punivano perché quello era il loro lavoro. Solo sua madre, qualche volta, tra una crisi di astinenza e un paradiso artificiale, le aveva mostrato un po’ d’amore sincero. Ed ora questo.
    Possibile che nella più dura e temuta insegnante della scuola ci fosse dell’affetto vero? Per lei?! Era impossibile. Eppure per quale altro motivo avrebbe dovuto assumersi la grana di occuparsi di una ragazza che non poteva che causarle problemi e che certo non aveva fatto nulla per meritarsi il suo aiuto?
    “Madame … io non merito tutto questo … so che la deluderò … ma … se lei crede di … di riuscire a … io …” i singhiozzi interruppero Jennifer.
    Mentre cercava di proseguire Marie le si avvicinò e ponendole l’indice davanti alla bocca. Le sue parole erano poco più di un sussurro.
    “Shhh! … Devi solo dire che accetti la mia autorità su di te. Che accetti il mio diritto a prendermi cura di te e a punirti come riterrò opportuno se non ti comporterai bene. Che ti rendi conto che tutto quello che farò è per il tuo bene e nel tuo interesse. Che mi darai ubbidienza e rispetto assoluti. Lo farai?”
    “Io … sì, Madame. Accetto. Io … io ho bisogno del suo aiuto e prometto che farò del mio meglio per non deluderla …”
    “Mi obbedirai? Sempre? Non ti ribellerai alle mie punizioni?”
    “Farò tutto ciò che mi chiederà e … accetterò ogni punizione, Madame” rispose meccanicamente Jennifer. Si sentiva come davanti a una belva feroce. Terrorizzata ma stranamente affascinata.
    “Bene, bambina mia” disse la donna dandole un bacio sulla guancia. “Adesso vai a lezione e dopo lo studio pomeridiano torna qui. Dovremo provvedere a trasferirti nella tua nuova casa.”



    CAPITOLO III – NUOVA CASA, NUOVA VITA

    La ‘nuova’ casa in realtà aveva almeno un secolo di vita alle spalle anche se era tenuta perfettamente. Jennifer la conosceva bene perché sorgeva a poche centinaia di metri dagli altri edifici della scuola, del cui complesso faceva parte integrante.
    Era una casa a due piani, piccola per il suo genere ma fin troppo grande per Marie e per la sua giovane ospite. In assenza della madre della donna, le due ne erano infatti le uniche abitanti. L’interno della casa, che Jennifer non aveva mai visto, era in perfetta sintonia con l’esterno. L’arredamento era rigorosamente costituito da pezzi d’epoca che avrebbero fatto la felicità di un qualunque antiquario. Solo la presenza di qualche apparecchio elettrico tradiva il secolo in cui ci si trovava.

    Marie e Jennifer passarono il pomeriggio ad occuparsi della sistemazione della nuova venuta. Le cose di Jennifer furono sistemate nella spaziosa camera da letto al secondo piano che la donna le aveva assegnato. Prima però Marie pretese di esaminarle dettagliatamente ‘per accertare che non vi fosse nulla poco adatto a una signorina come si deve’. L’ispezione fu per la ragazza una specie di incubo. Per prima cosa venne sequestrato il suo stereo portatile perché giudicato ‘una pericolosa fonte di distrazione’. Se proprio voleva ascoltare della musica nel tempo libero avrebbe potuto usare l’ottimo impianto hi-fi che era giù in salotto, ovviamente dopo averne chiesto il permesso alla donna. Sotto sequestro finirono anche i suoi cd e le sue cassette che, a detta della tutrice non erano musica ma solo spazzatura. Stessa sorte subirono le sue riviste, ‘volgari e pornografiche’, e i suoi cosmetici, visto che ‘una brava ragazza non ha bisogno di impiastricciarsi la faccia come una prostituta’.
    Furono scovate anche le sue sigarette.
    “Pensavo che tutte le punizioni prese per essere stata trovata a fumare ti fossero bastate a perdere il vizio! Vuol dire che di questo riparleremo stasera” fu il commento di Marie.
    Anche gli abiti subirono una spietata ispezione. Furono destinate al macero tutte le sue minigonne ‘roba da sgualdrine!’, le T-shirt ‘non ce n’è una che non abbia una scritta oscena!’, le giacche ‘troppo vistose e di cattivo gusto’, i jeans ‘non vorrai mica metterti a fare la camionista, vero cara?’, le scarpe con i tacchi alti ‘alla tua età si possono portare solo con un vestito da sera e non mi sembra che tu ne abbia!’, quelle sportive ‘da quando in qua sei diventata un giocatore di basket?’ e infine molta biancheria intima ‘inadatta a una ragazza’. Alla fine della cernita a Jennifer rimase poco altro che le uniformi scolastiche e un po’ di capi intimi. Libri e quaderni furono sistemati in un grande studio al primo piano. “Sarà qui che studierai” disse Marie. “D’ora in avanti io stessa svolgerò il mio lavoro d’ufficio a casa così sarai costantemente sotto la mia sorveglianza.”

    La sera cenarono in silenzio. Jennifer fu incaricata di sparecchiare e di lavare i piatti. La donna le spiegò che quello sarebbe stato l’unico lavoro domestico cui era tenuta. A tutti gli altri avrebbe continuato a provvedere il personale della scuola. Finite le faccende la ragazza andò nel salone principale dove trovò Marie che stava finendo di ascoltare il telegiornale comodamente seduta sul divano.
    “Hai finito Jennifer?” le chiese spegnendo il televisore.
    “Sì, Madame.”
    “Bene allora avvicinati, dobbiamo chiarire un paio di cosette.”
    “Sì, Madame.” rispose la ragazza con qualche apprensione.
    “Prima di iniziare la tua punizione vorrei chiarire che …”
    “Punizione?!” esclamò la ragazza stupita. “Mi scusi Madame ma perché vuole punirmi? Io non ho fatto niente!”
    “Non dirmi che pensavi di non essere punita per quello che hai combinato lunedì scorso?” disse Marie con una punta di ironia. “Anche se ho fatto sospendere il provvedimento di espulsione non vuol dire che ciò che hai fatto debba essere dimenticato.”
    Jennifer iniziò a preoccuparsi. Sapeva che sarebbe stata una punizione pesante.
    “Come se non bastasse hai addirittura portato delle sigarette in questa casa! Questo ti costerà una punizione supplementare” continuò la donna. “Quello che volevo dirti era comunque un’altra cosa. Te ne avevo già accennato. Le punizioni che ti darò da oggi in avanti non saranno date come insegnante ma come tutrice. Perciò saranno più lunghe, più dolorose e più umilianti di quelle a cui sei abituata. Mi aspetto che tu ti ci sottometta senza fare storie. Sono stata chiara Jennifer?”
    “Sì, Madame” rispose la giovane che sapeva che questa era l’unica risposta che l’altra avrebbe accettato.
    Purtroppo in questo modo si era preclusa persino il diritto di chiedere pietà.
    “Bene, Jennifer” riprese la tutrice. “Togliti gonna e mutandine.”
    Jennifer esitò. Non le era mai stato chiesto di togliersi la gonna prima di essere punita. Bastò un’occhiata di Marie a convincerla che non era il caso di perdere tempo. La donna osservò la giovane mentre si spogliava. Indossava l’uniforme scolastica. Mocassini marroni, lunghi calzettoni bianchi, gonna blu lunga fino al ginocchio, camicetta bianca e un maglioncino azzurro con lo stemma della scuola.

    Mentre Jennifer ripiegava con molta cura su una sedia gli indumenti che si era sfilata, in un istintivo tentativo di procrastinare l’inevitabile, l’attenzione della tutrice si concentrò sul corpo della ragazza. Indubbiamente l’aspetto di Jennifer era cambiato. La prima volta che l’aveva punita era rimasta molto delusa dalla magrezza delle gambe della ragazza. L’educazione fisica, molto curata alla Harper’s Hill, aveva fatto miracoli. Forse il fenicottero rachitico non si era trasformato in un cigno ma quantomeno in una graziosa cicogna. Le lunghe gambe della ragazza avevano adesso un perfetto tono muscolare ed erano giudicate dalla donna tra le più belle della scuola. Anche il resto del corpo della ragazza era piacevolmente tonico.
    L’unica pecca era che nonostante i suoi 15 anni, il corpo della giovane continuava ad avere qualcosa di infantile. I suoi fianchi erano rimasti stretti, come quelli di un ragazzo, ed il seno non sembrava voler crescere. Il suo viso era magro ed aguzzo ma con lineamenti delicati e femminei. Gli occhi erano castani e chiari. I capelli, castani anch’essi, erano leggermente ondulati e le scendevano fino alle spalle. Nel complesso il suo volto aveva qualcosa di infantile ed etereo. Per il tipico teen-ager americano oltre che per la ragazza stessa, Jennifer non era un comunque un granché. Per chi invece, come la tutrice, avesse avuto gusti un po’ più raffinati essa rappresentava in realtà una magnifica preda.

    Jennifer aveva terminato la sua cerimonia di svestizione e ora stava in piedi davanti alla donna. La camicetta purtroppo era lunga abbastanza da ricoprire abbondantemente il sesso della giovane che nonostante ciò aveva comunque un aspetto piacevolmente indifeso.
    “Mettiti qui!” disse Marie battendo il palmo della mano sulle cosce. Poi, vedendo Jennifer dubbiosa su cosa le venisse chiesto, fu più chiara. “Non mi dirai che non sei mai stata sculacciata, vero?”
    In effetti le sculacciate non facevano parte delle punizioni previste dal regolamento della scuola ed erano anni che la ragazza non ne riceveva una. Sapeva però che era meglio non discutere. Si avvicinò a Marie e non senza qualche impaccio si sdraiò in grembo alla donna. Immediatamente questa afferrò i lembi della camicetta della ragazza e li tirò fino a scoprire non solo i bianchi glutei ma anche buona parte della schiena. Il pube nudo di Jennifer premeva contro la coscia dell’istitutrice, separato dalla pelle di questa solo dalla stoffa della gonna della tutrice. Jennifer era in qualche modo contenta della punizione. Anche se essere sculacciata era umiliante non poteva certo essere peggio delle punizioni che riceveva a scuola. Nel giro di pochi minuti sarebbe finito tutto.
    Smack!
    Il primo colpo non fu doloroso. Non lo furono troppo nemmeno i successivi.
    Superata la dozzina però, il dolore inizio a farsi sentire.
    Smack! Smack! Smack!
    I colpi continuavano a cadere imperterriti. A Jennifer sembrava che ognuno fosse più forte del precedente, sicuramente più doloroso. Non importa, pensò, è ovvio che un po’ di dolore debba provarlo, ancora qualche istante e poi sarà tutto finito.
    Smack! Smack! Smack!
    La donna non sembrava però avere alcuna intenzione di fermarsi. A volte il ritmo dei colpi calava e la donna si concentrava nel colpire con particolare forza.
    In questi momenti Jennifer pensava che la punizione stesse per finire. Pensava che la sua aguzzina stesse usando le ultime forze a disposizione per rendere memorabile la sculacciata. Invece ogni volta, dopo qualche colpo particolarmente malevolo, la battuta riprendeva il suo ritmo forsennato. Più e più volte si ripeté questo ciclo.
    Alla fine Jennifer aveva smesso di sperare in una rapida soluzione. Adesso era concentrata solo sul dolore. Abituata ai ben più dolorosi colpi della canna non era troppo difficile sopportare i colpi senza gridare e senza fare movimenti scomposti.
    Ma se ogni sculacciata non provocava un dolore così acuto come quello della canna l’effetto cumulato dei colpi era tale da non poter essere sopportato senza conseguenze. Le guance della ragazza erano infatti bagnate dalle lacrime che avevano iniziato a sgorgare abbondantemente senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
    All’improvviso i colpi cessarono. Occorsero però diversi secondi perché Jennifer, singhiozzante, se ne rendesse conto.
    “Sei stata molto brava, bambina mia” disse Marie accarezzandole dolcemente i capelli. “Ce la fai ad alzarti?”
    Jennifer si sollevò lentamente asciugandosi il viso con il dorso delle mani.
    Anche se il dolore non era cessato era felice. Adesso la tutrice l’avrebbe congedata e lei sarebbe andata in camera sua. Una buona notte di sonno e si sarebbe rimessa in sesto. Peccato che la donna avesse altri progetti.
    “Jennifer, vedi quell’armadio laggiù?” disse facendo un cenno con la mano.
    “Sì, Madame.”
    “Ti dispiacerebbe andare ad aprirlo?”
    “No, Madame” rispose Jennifer avviandosi.
    Una volta aperte le ante dell’armadio un terrore sgomento percorse la giovane.
    Dentro, appesa a innumerevoli ganci contrassegnati da una sigla, stava un’infinità di strumenti di disciplina delle più svariate forme e dimensioni. Alcuni erano simili a quelli che la ragazza ben conosceva. Altri le erano del tutto estranei. Cosa significa tutto questo? Perché la donna le aveva mostrato il suo arsenale? Solo per spaventarla? Non poteva certo avere l’intenzione di punirla ancora!
    “Jennifer!”
    “Sì, Madame?” rispose la giovane, bruscamente riportata alla realtà dalla voce di Marie.
    “Alla base del ripiano troverai in righello di legno. Prendilo e portamelo.”
    Jennifer eseguì l’ordine. Dopo avere ricevuto lo strumento la tutrice indicò a Jennifer di prendere nuovamente posizione sulle sue ginocchia. La ragazza esitò. Sapeva che il righello le avrebbe inflitto molto più dolore della sola mano nuda. Però sapeva anche, per esperienza personale, che contrastare quella terribile donna nella esecuzione di una punizione era del tutto controproducente. Non avendo scelta fece ciò che le veniva richiesto. Il righello, egregiamente maneggiato, si rivelò fin troppo efficiente. Anche se il ritmo dei colpi era ora meno frenetico, la giovane non poté fare a meno di gemere sotto ogni botta. Le divenne impossibile rimanere composta. Dopo ogni colpo si contorceva sulle ginocchia della sua carnefice che ne era grandemente deliziata. Jennifer dovette fare appello a tutta la sua volontà per evitare di spostare le mani dietro di sé in un disperato tentativo di protezione.
    Buona parte dei colpi era diretta non contro i glutei ma contro le sue cosce, fino ad appena sopra l’incavo del ginocchio. In questi casi al grido di dolore si affiancava il mulinio delle gambe che scalciavano a vuoto, fendendo l’aria. In una di queste occasioni poco mancò che la ragazza colpisse, con un tallone, il volto della sua aguzzina. La conseguente minaccia di far ripartire dall’inizio la punizione riuscì a ridurre le reazioni della giovane, ovviamente senza eliminarle del tutto.

    Come per la precedente sculacciata, la punizione andò avanti per molto più tempo e procurò molta più sofferenza di quanto Jennifer, pur disillusa, avesse previsto. Lo stesso poteva dirsi anche per il godimento procurato alla sua carnefice.
    Quando i colpi cessarono, la ragazza non fu assolutamente in grado di muoversi o di dire una parola. Solo il pianto, abbondante e rumoroso, e la respirazione affannata dal continuo singhiozzare scuotevano il suo corpo altrimenti immobile. Occorsero almeno dieci minuti di carezze e di parole dolci da parte di Marie perché la giovane riacquistasse un certo controllo. Una volta fatta inginocchiare Jennifer davanti a sé, la donna le asciugò con un fazzoletto il viso arrossato e bagnato di lacrime. Le chiese poi gentilmente di andare a riporre il righello. La ragazza eseguì docilmente, troppo stremata persino per lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo. Jennifer aveva appena riposto lo strumento quando sentì una nuova richiesta della sua persecutrice.
    “Ah! Jennifer per favore portami la canna contrassegnata con il numero tre.”
    Sorprendentemente la ragazza obbedì senza timore. Dopo tutto quello che aveva subito era convinta che la tutrice non avrebbe potuto punirla ulteriormente. Probabilmente voleva solo intimorirla e minacciarla di usare il nuovo strumento in caso di future trasgressioni.
    Quando si voltò vide però che la donna si era alzata e che adesso era in piedi vicino alla scrivania. Non ci potevano essere dubbi su ciò che stava per accadere. Jennifer sentì come se dentro di sé qualcosa si fosse spezzato. Mentre camminava lentamente verso la sua carnefice sentiva che non era la propria volontà a farla muovere ma quella dell’altra. Sentiva di non essere più una persona dotata di una identità propria ma solo una sorta di manichino. Un automa mosso dai comandi altrui. Era una sensazione sconvolgente ma in un qualche strano modo anche rassicurante. Ecco, adesso non si doveva più preoccupare di accettare la punizione senza protestare o di subirla senza reagire. Semplicemente non era fisicamente in grado di fare diversamente. Non era lei a muovere le proprie braccia e le proprie gambe. Lei era solo un corpo inerte. Un ricettacolo di dolore e di sofferenza, privo di capacità di reazione. Avrebbe subito la punizione. E quella successiva. E quella dopo ancora. Priva anche della sola volontà o speranza di sfuggirvi. Calma. Tranquilla. Abbandonata al dolore con la stessa voluttà con cui ci si abbandona, in spiaggia, al caldo sole estivo. Solo le lacrime, che avevano ripreso a solcarle il viso mentre consegnava nelle mani della aguzzina lo strumento del suo supplizio, tradivano la sua capacità di provare emozioni. Ma anch’esse erano silenziose, rassegnate. Ah! Se tutta la sua vita fosse stata così! Se solo fosse stata in grado di accettare i suoi doveri e le sue responsabilità con la stessa semplicità e rassegnazione invece di cercare in continuazione di sfuggirgli!
    Marie, accortasi che la ragazza stava piangendo, con un gesto delicato che sorprese lei stessa, le passò le mani sul viso, asciugandolo.
    “Coraggio, bambina mia. Ormai non manca molto alla fine” le disse poi, sorridendo dolcemente.
    “Sì, Madame” rispose Jennifer, grata.
    Ad un cenno della donna, la giovane si chinò docilmente sulla scrivania. Marie le sistemò la camicetta in modo da scoprirle i glutei che avevano da tempo perso il loro colorito bianco per assumere una tonalità di rosso acceso. Thwack! Un primo colpo si era abbattuto sulla ragazza, preannunciato dal sinistro sibilo della canna nell’aria. Già al secondo colpo Jennifer aveva dovuto urlare dal dolore. Il trattamento che aveva ricevuto in precedenza moltiplicava l’effetto di ogni staffilata, rendendola insopportabile. La battuta procedeva implacabile. Marie non si doveva nemmeno preoccupare di imprimere forza alla canna. Sapeva che nelle condizioni in cui Jennifer si trovava il dolore sarebbe comunque stato notevole. Il ritmo era costante e leggermente accelerato, incalzante, senza accenno di pietà. I colpi erano equamente ripartiti tra i glutei e le cosce della vittima. Il sibilo della canna, l’impatto sulla pelle e l’urlo di dolore segnavano il passare dei minuti con la precisione di un metronomo. Finalmente la tutrice ritenne di non poter procedere troppo oltre senza causare danni alla ragazza. Ma prima di porre termine alla punizione voleva vincere completamente la sua vittima. Iniziò così a colpire con tutta la sua forza sulle cosce, sui polpacci e anche sull’incavo del ginocchio.
    Bastarono pochi colpi perché la giovane finisse accasciata sul pavimento. I gemiti di Jennifer coprivano l’ansimare di Marie. La donna sapeva che la ragazza non era in grado muoversi. Così fu lei stessa a riporre la canna nell’armadio e a richiuderlo.
    Aspettò poi pazientemente che la sua vittima si riprendesse e si rivestisse per accompagnarla, sorreggendola, nella sua camera. Lì le diede ordine di prepararsi per la notte ed uscì. Quando dopo qualche minuto Marie ritornò nella camera trovò Jennifer semiaddormentata sul letto, con le mutandine abbassate e la gonna alzata nel tentativo di alleviare la sofferenza i terribili bruciori che la tormentavano.
    “Ma bene!” disse acida la donna sbattendo sonoramente la porta.
    Il rumore destò completamente la ragazza.
    “Ti sembra questa la tenuta per andare a dormire? Sei indecente! E guarda come hai ridotto la tua uniforme! Pensare che ero venuta per spalmarti dell’unguento lenitivo!”
    Jennifer si riassettò più in fretta che poté ma non riuscì comunque a evitare di ricevere altre cinque dure sculacciate che la fecero di nuovo piangere disperatamente. La tutrice le ordinò quindi nuovamente di prepararsi per la notte e questa volta rimase a sorvegliarla. La ragazza era abituata a dormire con una T-shirt ma visto che erano state tutte sequestrate decise di indossare una camicetta bianca.
    Per sua fortuna ebbe la presenza di spirito di chiederne prima il permesso alla donna. Questa accondiscese dicendosi compiaciuta del fatto che stesse imparando le buone maniere e aggiungendo che se avesse osato infilarsi quella poco ortodossa camicia da notte senza la sua autorizzazione si sarebbe resa necessaria un’altra sculacciata. A quel punto, nonostante la irritassero molto, Jennifer non ebbe il coraggio di sfilarsi le mutandine. Si sdraiò a letto e Marie le rimboccò le coperte augurandole la buonanotte con un bacio su una guancia prima di uscire. Un bacio freddo abbastanza perché la ragazza capisse di doversi sentire ancora in colpa. In ogni caso, a dispetto dei dolori, Jennifer era così provata che si addormentò quasi immediatamente.

    Edited by iGod - 4/2/2012, 19:04
  15. .
    La ventola del pc. u.u
497 replies since 13/1/2010
.