Metal Gear Solid: Peace Walker PSP

Recensione di Davide Ottagono

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    Il baluardo estivo di PSP è finalmente tra le nostre mani: il terzo capitolo della saga “alternativa” incentrata su Big Boss, iniziata con Snake Eater su PS2 e poi proseguita con Portable Operation proprio su PSP, promette di fare chiarezza sugli ultimi anelli mancanti della leggenda. Ovviamente la preoccupazione più grande è che, nonostante l'immancabile trama di alto spessore, il gameplay non sia adatto alla console portatile, un po' come accadde per il prequel. La buona notizia è proprio quella di potervi rassicurare in anticipo: Peace Walker è tanto bello da vedere quanto da giocare, una vera e propria droga portatile da cui raramente vi staccherete, perfettamente bilanciato nelle sue meccaniche quanto sorprendente nelle fresche introduzioni. Ma andiamo con ordine.

    Il nuovo sistema di recupero istantaneo dei soldati farà la felicità di quelli che, in Portable Operation, odiavano la sfacchinata ai camion

    Big Boss ha definitivamente staccato i contatti con gli Stati Uniti e con qualunque nazione esistente, avvicinandosi così alla visione più classica che tutti noi abbiamo di lui: quella di un soldato esente da regole e leggi, da tasse e comandi. Il nuovo esercito che sta formando, i Militari Senza Frontiere, è chiaramente un primo richiamo al futuro Outer Heaven, che mai abbiamo ammirato così da vicino come in questo capitolo. Tutto ha inizio durante una sessione d'allenamento, quando il professore costaricano Galvez ed una sua allieva decidono di ingaggiare Big Boss per una missione di perlustrazione. Sembra infatti che l'esercito statunitense stia presidiando con la forza varie zone della Costa Rica, e il nostro obbiettivo sarà scoprire il perché. Purtroppo per Galvez, il compito non è abbastanza appetitoso per il nostro eroe, che rifiuta senza pensarci due volte. Almeno, fin quando non viene ricattato con informazioni top-secret riguardanti The Boss, mentore di Snake. Ci vorrà pochissimo perché quest'ultimo scopra che gli USA stanno armeggiando con testate nucleari in territorio straniero. La motivazione, tutt'altro che scontata, la lasciamo scoprire a voi.

    Peace Walker, più che posizionarsi in qualche modo nella cronologia della saga, cerca di lasciare un messaggio. Un messaggio sulla pace (anzi, sull'illusione della pace), sull'impotenza degli uomini di fronte all'olocausto imminente, sul terrore a cui anche i capi di stato devono andare incontro al momento di premere il fatidico “bottone rosso”. La popolazione mondiale sarà mai sul punto di estinguersi? Ma, soprattutto, possibile che una decisione così importante possa giacere nelle mani di una singola persona? Peace Walker ha una trama coraggiosa che gira attorno ad una morale, non ad un super-cattivo; è un telegramma dritto al cuore, non così dissimile da Snake Eater. Big Boss si vedrà invischiato in una storia carica di ricordi e phatos, dove i nemici non sono totalmente nemici. Dove addirittura lo stesso Big Boss lotterà contemporaneamente per la pace e contro la pace.

    Hideo Kojima, storico creatore della serie, ha sempre parlato di Peace Walker come il quinto capitolo ufficiale della saga. È stata forse questa sua frase ricorrente a farci storcere un po' il naso, una volta finita la campagna principale. In veste di prequel, Peace Walker è forse quello più inutile a livello di rivelazioni, soprattutto se paragonato a Snake Eater o a Portable Operation. Il diretto predecessore, ad esempio, mostrava le origini di alcuni personaggi chiave come Frank Jaeger, o del progetto Enfates Terribles, o ancora dell'Ocelot “Patriot”. Se dovessimo citare invece un solo elemento di Peace Walker che, in un modo o nell'altro, andrebbe a ricollegarsi con gli altri Metal Gear Solid... bè, non esageriamo dicendo che - a primo acchitto - non ci viene in mente niente. Intreccio di alto spessore, scrivevamo prima, ma piuttosto inutile ai fini della comprensione della saga in sé. Persino la nascita di Outer Heaven e la clonazione di Big Boss, che speravamo avessero avuto un po' di spazio, sono assenti. Che il tutto lasci presagire un ulteriore seguito?

    Forse per la prima volta in un Metal Gear possiamo dire che la bellezza della parte giocata prevalga su quella narrativa. Il sistema di fondo è ripreso da quello gestionale di Portable Operation, ma i mille accorgimenti e la sbalorditiva completezza dell'offerta lasciano di stucco. Pur permettendo approcci piuttosto “violenti”, è solo con lo stealth e con la circospezione che si viene ripagati. Ad inizio avventura, inoltre, potremo scegliere tra varie mappature di comandi, una delle quali è quella classica degli sparatutto su PSP. Non il massimo della comodità, certo, ma sicuramente più diffusa dell'impianto arzigogolato messo su per il prequel. D-Pad per le varie azioni (ricaricare, accucciarsi, scorrimento di armi e oggetti), grilletto sinistro e destro rispettivamente per mirare e sparare, pulsanti a destra per girare la telecamera o prendere la mira. Classico, quindi.

    Sin dal principio avremo a disposizione la Mother Base, una base operativa “galleggiante” completamente di nostra proprietà. Negli intervalli tra una missione e l'altra passeremo proprio qui il tempo, ed è dalla Mother Base che potremo incrementare il potere del nostro esercito privato. Tramite un pratico sistema a “stanze”, sarà facile riassegnare il personale reperito sul campo di battaglia (questa volta tramite pallone aerostatico, risparmiandoci la noiosa camminata verso il camion) alle mansioni che più gli si addicono.

    Le squadre presenti sono quella d'Attacco, utile per guadagnare denaro da spendere in nuovo equipaggiamento; quella di Ricerca, vitale se si vuole entrare in possesso dei progetti di creazione di armi e oggetti; Mensa, per assicurarsi che i soldati possano sempre scendere in battaglia con lo stomaco pieno; Squadra Medica, per preventivare o curare malattie e ferite dello staff; Spionaggio, impegnata a progettare temibili strumenti di rilevazione nemica, radar in primis. Sarà nostro compito assicurarci che tutti gli ingranaggi lavorino all'unisono nel grande mosaico della Mother Base, premurandoci di arruolare sempre più braccia che si uniscano alla nostra causa. Da non dimenticare la possibilità di accettare contratti e così spedire le truppe in Paesi stranieri a combattere guerre su commissione e ad espandere il prestigio dei MSF.

    Decine e decine di missioni secondarie ci aspetteranno nell'apposito menù, utili sia per guadagnare qualche punto esperienza per l'armamentario (grazie ai nuovi elementi ruolistici), sia per entrare in possesso di premi extra, come documenti d'intelligence, una migliore reputazione o interi veicoli da riutilizzare nelle nostre guerre. Lanciarsi in questi percorsi alternativi, però, sarà più un obbligo che una scelta. L'avventura principale non ha settaggi di difficoltà, quindi ci toccherà sottostare alle regole del gioco (a tratti davvero dure). Avere la meglio sui coriacei boss di gioco non è impresa facile, e avere a disposizione un supporto adeguato sarà a dir poco vitale per uscire vivi dagli scontri più tosti.

    Questo a discapito della continuità della trama, che spesso e volentieri viene sospesa a favore di questi tour de force d'allenamento, giovando ben poco alla comprensione degli eventi. Eventi che, come in ogni Metal Gear, richiedono concentrazione continua per essere metabolizzati appieno. D'altro canto, però, sarebbe da pazzi negare come tutti questi contorni aumentino a dismisura la longevità del titolo. Se arrivare ai titoli di coda richiederà una dozzina di ore, scoprire tutti i segreti è un compito che vi ruberà mesi interi. Tra parti del Metal Gear da raccogliere, Mother Base da sviluppare, contratti da portare a termine, un centinaio di missioni secondarie da completare e un esercito da allargare sempre più, avrete almeno milleuno motivi per avere Peace Walker sempre in tasca. Attenti a non restarne assuefatti, però.

    Tante belle cose, siamo i primi ad ammetterlo. Ma pensate davvero che siano finite? Siamo solo all'antipasto. Non ci credete? E se vi dicessimo che tutto quello che abbiamo scritto sarà godibile anche in compagnia? Esatto, ci sarà una modalità cooperativa ad aspettare chiunque abbia la console connessa alla rete, aprendo così l'universo di Metal Gear ad orizzonti mai esplorati prima. Del resto, parliamo pur sempre di una feature molto in voga negli ultimi tempi, capace di risollevare anche le sorti del prodotto più scialbo, figuriamoci quelle di un gioco già di per sé così brillante. Ed ecco che così potremo cimentarci nella campagna principale in compagnia di massimo tre persone, dividendoci i compiti, assegnando magari ordini veloci tramite le apposite opzioni e collaborando persino per scavalcare ostacoli normalmente insormontabili. Il vero problema, però, è che l'avventura è stata strutturata proprio per essere giocata in compagnia, quindi preparatevi a farvi letteralmente in quattro e a sudare sette camicie se avete intenzione di giocare in solitario. Dopotutto, se alcune bosse battle durano un'infinità è proprio per questo motivo.

    Il supporto online non si ferma alla semplice cooperativa, sappiatelo. I match competitivi non sono di certo una novità per la saga, e Peace Walker non fa eccezione. Fino a sei persone potranno scendere in una buona dozzina di arene e scontrarsi nelle modalità disponibili, dal classico Deathmatch ad un più complesso Conquista la Base. Simpatica la possibilità di scambiare con i propri amici oggetti e staff guadagnati sul campo di battaglia.

    Già Portable Operation aveva mostrato come PSP fosse capace di gestire modelli complessi similmente a PS2. Non raggiungeva i livelli di MGS3, ovvio, ma quantomeno si è avvicinato. Peace Walker, invece, va ancora oltre. Mettendo un po' in disparte le basi militari che facevano da sfondo al primo, Peace Walker ricatapulta Big Boss nell'ambientazione in cui meglio sapeva muoversi: la foresta. L'habitat costaricano è infatti un tuffo nel cuore di tutti gli amanti di Snake Eater. Ci si mimetizza tra i cespugli, si tendono agguati dai tronchi d'albero e ci si immerge nella natura più incontaminata, tra i cinguettii di uccelli e il fruscio della flora. Ovviamente, la giungla non sarà l'unico luogo esplorabile, visto che in poche ore si passerà da ampi spazi minerari a spiagge sconfinate, da lugubri sale di tortura a villaggi perduti tra la natura.

    A livello poligonale ci siamo: gli scenari sono ricchi di dettagli e il modello del protagonista è incredibilmente particolareggiato. Se si chiude un occhio sulle textures, piuttosto piatte dalla breve distanza, ci si trova di fronte ad uno dei comparti tecnici più performanti sulla portatile Sony. Performante e stilisticamente ineccepibile, sottolineiamo, grazie al ritorno dei filmati d'intermezzo “schizzati” a mano dall'art director Yoji Shinkawa. L'effettistica sonora conclude in bellezza un quadro audio-visivo di indubbio valore, con tanto di main theme creato appositamente e di ricomparsa dei doppiatori storici della saga, David Hayter e Christopher Randolph in primis.

     
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